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Una delle operazioni più difficili, in questo nostro tempo, è scovare ciò che è stato preservato, certamente a fatica e spesso in modo parziale, e riconoscerlo come un valore. E questo significa predisporsi a un approccio avvincente ma non così comodo. Ci sono luoghi che non sono per tutti. L’importante sempre è andare incontro alle proprie propensioni, ai propri gusti. Solo così non si resterà delusi e anzi se ne uscirà contenti. Con questo spirito mi sono spinta nel cuore della parte appenninica della Valle Staffora, che è il lembo più a sud dell’Oltrepo Pavese, incastonato fra due regioni: Piemonte ed Emilia Romagna, e mi sono lasciata prendere da quell’ambiente in cui è il verde, nella sua espressione più prorompente, spettinata e incontaminata, a farla da padrone, costellato da una tale varietà di sentieri e percorsi da fare la gioia degli escursionisti di qualsiasi livello. A collegare quest’ area molto estesa e, in proporzione, poco densamente popolata, un dedalo di strade piccole e tortuose dove attenersi rigorosamente a destra nella guida, per poter raggiungere piccoli borghi in pietra arroccati, ciascuno foriero di qualche perla, tra fortificazioni, torri, castelli, abbazie, monasteri, chiese...da cercare come in una caccia al tesoro.
La Via del sale Una valle, la valle Staffora, naturalmente vocata al commercio (per via di quella sua posizione di confine con altre regioni) di cui gli occupanti che si sono succeduti, nel corso dei secoli, hanno avuto grande consapevolezza. Nel Medioevo, in particolare, il marchesato Malaspina, che tanto ha inciso su questo territorio, ha provveduto a edificare nuclei fortificati e castelli diffusi nella zona per avere l’egemonia del transito nella valle, percorsa da un’importante Via del sale. Immaginiamo carovane di muli carichi di sacchi di sale che trasportavano dalle località marine (Genova) alla pianura padana (Pavia e Milano, in particolare) questo elemento così utile per conservare i cibi, produrre formaggio e conciare le pelli. Un percorso che si snodava sulle creste dei monti per potersi orientare meglio e arrivare prima evitando guadi, che oggi si ripropone come una sorta di riscoperta e traccia di tutti coloro che, in tempi diversi, sono transitati di lì: oltre ai mulattieri anche partigiani, pellegrini o briganti. Non è infatti difficile imbattersi in antichi manufatti, ruderi, stazioni di posta che ora sono rifugi per chi transita, laddove la natura la fa comunque da padrona. Un’escursione, meglio, un cammino che, dicevo, va organizzato - ci sono guide abilitate che la ripropongono periodicamente - dal momento che può durare anche quattro giorni (60 Km di percorso) e necessita di pernottamenti in rifugi o alberghi lungo il percorso. La partenza è da Varzi per arrivare nelle località marine liguri come Recco e Portofino. Non meno interessante la via dei Malaspina, un percorso alternativo alla via Francigena che, in 90 km, collega Pavia con Bobbio passando dalla Valle Staffora.
Varzi, base di partenza Qualunque sia l’intenzione di chi arriva in Valle Staffora per esplorarla, che sia a livello escursionistico o di visita turistica, il mio consiglio è di tenere base a Varzi, borgo più strutturato rispetto agli altri, dove si è certi di trovare risposta perlomeno alle necessità di base. Se invece le esigenze sono più essenziali si può optare anche per altre soluzioni più decentrate ma d’atmosfera, come l’affitto di stanze nel cuore di un intimissimo borgo o qualche hotel e, più facilmente, b&b disseminati nel territorio, magari completamente immersi nel verde. L’autunno ormai alle porte mette certamente in risalto questo territorio, che consiglio di visitare nei fine settimana in particolare, quando c’è garanzia di apertura di più attività. Fare base a Varzi è anche l’occasione per visitare il borgo, che cattura al primo colpo d’occhio per i suoi campanili e le torri e, addentrandosi, stupisce per la particolare architettura di portici a ordini sovrapposti, ben cinque file di bassi portici medioevali, su cui sbucano storiche cantine dalle pareti in pietra, perfette per la stagionatura del prodotto d’eccellenza della tradizione varzese, il salame Varzi DOP. A Varzi al momento non esiste un Ufficio turistico, ma una svettante nuova pensilina con la dicitura “Info Point” nella piazza della Fiera fa sperare che non si tarderà molto a provvedere. Nel frattempo c’è un’associazione culturale, Varzi Viva, nata nel 1994 per promuovere eventi, itinerari di visita e incontri d’arte, convegni e pubblicazioni sul territorio, che si presta a fornire qualche dritta. Ma pure una piccola sosta, salendo nel cuore del borgo, presso le Ghiottonerie di Ale, per degustare un cannoncino alla crema può essere foriera di una piacevole chiacchierata ricca di buonissimi spunti. Per me è stata utilissima. Se si è fortunati si riesce a visitare il Castello Malaspina (proprietà privata) e, se si è dell’idea, ci sono almeno quattro chiese che attendono di essere scoperte.
La chiesetta che svetta sul cucuzzolo della montagna Stabilito quindi un punto fermo, ciò che è più avvincente è partire alla scoperta di un buon distillato del resto, faccio tesoro di una delle informazioni raccolte: “Vai a visitare il piccolo borgo di Cegni, c’è una bella tradizione legata alla musica da scoprire, sarebbe interessante che parlassi con il musicista Stefano Valla. E poi lo sai che lì festeggiano due carnevali all’anno?” mi suggeriscono. Tempo di recuperare l’auto e già mi trovo ad affrontare i tornanti che separano Varzi da Cegni, a 13 km di distanza, mentre ai miei occhi si apre uno scenario decisamente montano. Tutto intorno vette rivestite da vaste pinete di un verde intenso, su una delle quali spicca una chiesetta. Chissà di che veduta si gode da quel punto, mi dico. Scoprirò poi che si tratta del comune di Santa Margherita di Staffora, che vanta pure l’ultimo mulino conservato della vallata, il mulino Pellegro, e la testimonianza di un’antica produzione di mattoni, la fornace romana di Massinigo e i ruderi di uno dei castelli fatti ergere dai Malaspina.
Cegni, tra pifferai, balli di tradizione e ben due carnevali Giunta a Cegni, che è frazione di Santa Margherita di Staffora, percepisco di entrare in una dimensione in formato mignon, viva ed estremamente curata, con le case di pietra a vista, i fiori sui balconi, l’ordine diffuso. Giusto qualche passo e incrocio un uomo a cui chiedo di Stefano Valla: “Sono io!” mi risponde. Sarà stato destino che ci incontrassimo! Mi accompagna nel cuore di Cegni: intorno a un piccolo cortile in sassi si affacciano l’unica bottega di alimentari e frutta e verdura, denominata Commestibili, e il Bar Ca’ del Jack, fulcro della vita sociale, che nei fine settimana o su prenotazione funge anche da osteria. Ci accomodiamo per un caffè sotto il porticato esterno dove, con un occhio al continuo via vai dei clienti dalla bottega e un orecchio, anzi due, sul mio interlocutore, tutto da conoscere, e attraverso di lui quel luogo: “ Che bel movimento di persone! - esclamo. “Siamo ancora nella fase estiva, seppur avanzata, e d’estate qui il richiamo è forte - commenta Stefano Valla -. Ci sono i ritorni, gente di qua che è andata via ma ha conservato la casa, e non mancano neppure i turisti. In questo periodo si contano anche 300 persone, di contro all’inverno quando restano meno di 40 residenti, che amano profondamente questo luogo e hanno cura di portare ciascuno il proprio contributo perché si possa viverci bene. Basti pensare alla famiglia Zanocco che qui ha impiantato una falegnameria dall’ ‘800, oggi ancora attiva (quarta generazione), ha aperto Commestibili e il bar/osteria Cà del Jack. L’altro ramo della famiglia gestisce una bottega di oggetti di artigianato. C’è pure una cooperativa agricola, un fabbro, un agriturismo sotto il paese, un’associazione Oriundi Club Cegni e una sala delle feste di oltre 500 mq con cucina”. E poi c’è il mio interlocutore, Stefano Valla, e il movimento che, partendo da Cegni, si sta adoperando a tenere vivo intorno alla musica e cultura di tradizione orale di questa area montana che, come vedremo, accomuna ben quattro province (PV, AL,GE, PC), con un repertorio di musiche e balli antichi, dove lo strumento principe è il piffero appenninico, di cui Stefano è fedele interprete. Lo accompagna la fisarmonica di Daniele Scurati. “Sono stato – ci racconta Stefano Valla - allievo di Ernesto Sala, uno dei pifferai più importanti del secolo - dentro questa cultura, l’ho respirata nella mia famiglia, ho fatto e continuo a fare tanta ricerca. La mia funzione è in continuità con i suonatori del passato, detentori di ruolo sociale importante, che oggi - seppur modificato - sussiste. Allora la musica scandiva le occasioni di socialità della comunità, oggi si mantiene la funzione delle feste. Il nostro repertorio, mio e di Scarati, che duetta con me con la fisarmonica, spazia dal rituale (matrimoni, carnevale...) alle danze (di gruppo o in coppia) al canto (polifonico- a più voci- o solistico).
La musica, filo conduttore del territorio “Quattro province” In passato i suonatori andavano ovunque li chiamassero, anche nelle province limitrofe. Per cui quelle tradizioni si sono diffuse oltre i confini, nelle altre province. Giusto verso la fine degli anni ’70 sudi etnologici e musicali hanno rilevato un comune filo conduttore nelle tradizioni musicali delle quattro province. Da lì è stato coniato il toponimo Quattro Province per indicare un territorio culturalmente omogeneo. In realtà il gioco da quel momento ha consistito nel trovare altri minimi comun denominatori sotto quel cappello... Rispetto ai suonatori del passato Stefano è chiamato a portare queste tradizioni in Europa, anche nei teatri, che è una dimensione diversa rispetto all’originaria. Tuttavia la sua predilezione rimane quella di segnare le feste a Cegni e dintorni, tenendo vive le tradizioni nei luoghi di origine. Anzi per questo si batte proprio, consapevole, e gli diamo ragione, che è qui che va rinsaldata l’identità di un’intera valle, la Valle Staffora. Il Carnevale bianco Ha un primato Cegni, quello di festeggiare due carnevali: il tradizionale e quello estivo, il Carnevale bianco. Tutto è nato una cinquantina di anni fa nel rilevare che il martedì grasso aveva perso ragione d’essere perpetrato, vuoi per il calo demografico in quella già piccola frazione, vuoi per la cadenza infrasettimanale che vedeva quei pochi impegnati al lavoro. Si è così pensato di portarlo ad agosto, periodo di rimpatriate e di villeggiatura, precisamente il 16 agosto, all’indomani della festa del paese. Scelta che è stata premiata a tal punto da esercitare, oggi, motivo di ulteriore richiamo di turisti, anche stranieri, per l’occasione. E pure ha ripreso vigore il carnevale tradizionale. In entrambe le occasioni è usanza fare il giro delle aie del borgo, dove vengono offerti frittelle e dolci caserecci, accompagnati dai suonatori, tra musica e danze di gruppo, a coppie o a quattro, che coinvolgono i giovani e appassionano i turisti. E poi la rievocazione storica della vicenda della pòvradòna, la povera donna obbligata a sposare l’uomo che non ama.
Ceregate, il paese abbandonato che rinasce due volte l’anno Intanto che si è a Cegni bisogna sapere di Ceregate, il paese completamente disabitato dal 1986, quando Carlo, l’ultimo suo abitante, è venuto a mancare. Lo si raggiunge soltanto a piedi, da Cegni appunto, in un’ora di camminata. Un luogo in cui le case semidiroccate parlano di una storia recente vissuta ai minimi termini e dove una chiesetta, assolutamente ben conservata, dice dell’oggi e della cura che gli abitanti del vicino sobborgo le riservano, come se fosse l’ultimo baluardo di un luogo che non si vuole lasciare morire. Due volte l’anno infatti, il lunedì di Pasqua e l’8 settembre, Ceregate torna a vivere: abitanti e villeggianti di Cegni sono soliti trasferirsi lì per la messa, raccogliere proventi tramite un’asta di prodotti alimentari per la salute della chiesetta e fare un pic nic tutti insieme in quella splendida nicchia di verde.
Il percorso del silenzio: tra il castello di Oramale e l’abbazia di S.Alberto di Butrio Tornando a base, quindi a Varzi, sono pronta all’indomani per affrontare un nuovo percorso, completamente diverso. Potrei definirlo del silenzio, dal momento che non incontrerò così facilmente persone con cui interloquire. Non a caso la mia destinazione sarà un eremo, che mi hanno insegnato essere - per definizione - luogo di straordinaria bellezza e pace. Da uno strettissimo vicolo in quel di Varzi, che a dire il vero non mi è semplicissimo da individuare, mi porto velocemente in quota fra stradine strette, tornanti e verde incontaminato, che sono la cifra stilistica di questo territorio, finché non vedo sbucare fra le fronde la torre del castello di Oramala che, ahimè, non posso che osservare di passaggio, non essendo possibile l’accesso. Proseguo su su finché non arrivo a Ponte Nizza, dove fra i fitti boschi di castagno si apre una spianata che ospita l’Eremo di S.Alberto di Butrio, un luogo appartato e protetto, come lo ha voluto il suo fondatore S.Alberto. Prima eremo, poi importante centro spirituale che ha subito la soppressione napoleonica fino alla nuova vita, nel ‘900, grazie a don Orione che qui ha introdotto gli Eremitani della Provvidenza. Il silenzio rarefatto, l’estremo ordine interno ed esterno degli ambienti, affreschi trado quattrocenteschi rapiscono letteralmente. La vista di un frate nella bottega dei prodotti erboristici mi illude di poter avere uno scambio con un umano. Risposte essenziali alle mie domande mi faranno scoprire a posteriori il motivo: lì vige la regola del silenzio, perché in esso “ridestiamo noi stessi”, come era solito ripetere don Orione. Nel grande piazzale dove si lascia l’auto c’è uno spazio con tavoli e panche in cui, volendo, si può rimanere anche tutto il giorno. Il messaggio per tutti è che, indipendentemente dalla fede, quello è un luogo di grande pace. Le sorprese che riserva la vetta Potrei proseguire oltre nel racconto, mi limito a descrivere l’emozione finale di svalicare passo Penice, passando per quella zona di Menconico che traghetta a Bobbio, nel piacentino, su quella strada finalmente larga, dolce, dove le curve non sembrano curve e il piacere di guidare è tale che andrei avanti ad oltranza. Giunta al passo devio per la vetta, dove mi aspetta un panorama immenso e sconfinato sulla pianura padana, un santuario e un piccolo bar sottostante con vista. Qui conosco il barista di turno quel giorno, Matteo, un giovane regista milanese che dopo il Covid ha cambiato vita. Da porta Romana si è infatti trasferito in un paesino di 47 abitanti, lì in zona, dove ha segnato un +4 con la sua famiglia (ha due bimbi piccoli) e si sta dedicando a un sacco di belle iniziative. Tutto questo, che non è poco, fuori dal mondo completamente: a 1460 metri d’altezza!
Ristorante Primula Bianca Frazione Castellaro, 30 27057 Castellaro (PV) Tel. 0383 52160 Un’intera famiglia che sa accogliere proponendo stuzzicanti piatti rivisitati anche con abbinamenti particolari. Ristorante Staffora Frazione Casanova Destra, 29 27050 Santa Margherita di Staffora (PV) Tel. 348 710 9133 www.albergostaffora.com Aperto solo il sabato e la domenica a pranzo fino a primavera. Propone un menù di degustazione ricchissimo dove è la genuinità dei piatti, come di casa, che conquista.
La quintessenza del borgo Via della Piazzola, 3 27057 Varzi (PV) Tel. 340 184 5653 Un B&B confortevole e curato nel cuore della Varzi storica, per vivere l’atmosfera del luogo Locanda le cicale Piazza della Fiera, 1 27057 Varzi (PV) Tel. 0383 53050 www.locandalecicale.it Per chi cerca la comodità di alloggiare nella piazza principale di Varzi, potendo pranzare o cenare nella stessa struttura. Hotel ristorante la pernice rossa Località Roncassi, 20 27050 Menconico (PV) Tel. 0383 541973 www.lapernicerossa.it Per chi vuole fare un’esperienza di completa immersione nel verde e nella pace, fuori da tutto ma non così lontano dagli altri borghi, la possibilità di pernottare in hotel oppure in uno dei quattro chalet di cui la struttura dispone, con il conforto del ristorante annesso.
Salumificio Dedomenici Frazione Casanova Destra,8 27050 Santa Margherita di Staffora (PV) Tel. : 0383 551341 www.salumidedomenici.com Angelo Dedomenici è un pluripremiato produttore di Salame Varzi DOP di qualità. Negli anni non ha mancato di inventare altri salumi, tra cui la Bondiola, il Salame rosa, il Filetto delicato ma anche il salame senza salnitro. Vale la pena fargli visita per scoprire queste specialità e visitare il Museo del salumiere, da lui ideato.
Le ghiottonerie di Ale via della Piazzola, 7/5 27057 Varzi (PV) Tel. 338 320 2414 Un cuoco, Alessandro Degli Alberti, applicato alla pasticceria sulle orme del padre, che segnalo per ottime sfoglie, dolci e salate, e una buona torta di mandorle (di cui le campagne un tempo erano ricche).